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Il Racconto di un volontariato a Gaziantep

[:it]Il racconto di un nostro volontario al progetto “GIVE – Gaziantep Integration by Volunteers from EU”, co-finanziato dal Programma Corpo Europeo di Solidarietà dell’Unione Europea.

Il progetto prevede la partecipazione di 40 volontari in attività volte a promuovere l’inclusione sociale nella comunità locale tra gruppi diversi, tra cui siriani e turchi.

“Dopo 6 mesi di studio ininterrotto, finalmente si riparte. Una partenza strana, fatta di distanze e controlli. Mi stupisce la preparazione di Trenitalia e Aereoporti di Roma, così come l’incompetenza di Turkish Airlines (almeno a Roma): prima mi fa trasferire tutto dallo zaino alla valigia per poi imbarcare entrambe, poi il caos nell’entrata nell’aereo, infine solita calca nell’uscita. I posti non sono alternati e tutti si agitano per trovare un sedile più isolato. In più un gruppo di donnone georgiane inizia una lunga e difficile contrattazione quando ci viene chiesto di firmare una autodichiarazione sul covid. Che dire… può andare solo meglio!

Mi trovo a Gaziantep, regione dell’antologia Sud Orientale, a circa 100 km da Aleppo, 50 dal confine Siriano. Qui è dove vivo, la sede dell’Associazione GEGED. Un vero e proprio fortino di stile armeno. Come una sorta di ostello, viviamo in una ventina, soprattutto italiani. Sembra che abbia la camera migliore, visto che è fresca e ha una doccia nuova, cosa non male quando sono circa 35°. Molto preoccupante è che quasi tutti gli italiani siano del nord, con solo una di Benevento, me, una fiorentina e tutto il resto più a nord. Cosa farò esattamente lo saprò solo lunedì.

Il primo pasto è fatto sul momento da una nonnina di fronte al mio fortino. La cucina per ora è stata sbalorditiva, molto simile a quella del sud Italia ma mantenendo ancora molto le tradizione. Sembra che la regione sia infatti piuttosto conservatrice, anche in virtù della presenza dei siriani. Lo strumento che usa, questa sorta di bastone, pare essere molto usato in medio oriente. Come fosse un mattarello, non si passa però sopra ma l’impasto si arrotola.

Per anni abbiamo vissuto nella menzogna. Quello che sembra una sorta di grande arrosticino, è un Kebab. Quello che invece noi chiamiamo erroneamente Kebab si chiama invece, come correttamente si fa in Germania, dove vivono milioni di turchi, Döner. Ancora diverso lo Shawarma, che è quella colonna di carne che gira attorno alla griglia elettrica, e che per noi sarebbe sempre un Kebab, ma che messo con pane e altro e più sostanzioso di un Döner che è considerato un cibo veloce, mentre il Kebab (quello vero) si mangia seduti e con tante verdure.

Gaziantep è molto grande, con oltre 2 mln di abitanti. È uno dei principali luoghi di fuga dei siriani con lo scoppio della guerra civile nel 2011, con circa 600.000 solo qui in città. Alcuni quartieri sono abitati solo da loro e la cosa ha evidentemente creato parecchi attriti sociali. La situazione bellica la vedremo più avanti. Per il momento basta dire che la città è poco uniforme: ci sono dalle case antiche armene a grandi palazzi moderni, viuzze che potrebbero essere in Sicilia e zone industriali nel bel mezzo della città, dove mi pare si producano molte scarpe.

A primo impatto non posso che notare una certa somiglianza con il Marocco, ma con almeno una grossa differenza: non è così caotico. Le strade sono generalmente pulite, molti parchi tenuti bene, ci sono marciapiedi ovunque. Soprattutto, specie in questo momento di epidemia (da quanto capito Gaziantep è la città più colpita dopo Istanbul e Ankara, più grandi di questa), si fa molto più caso all‘igiene (anche se la stretta di mano rimane un must) e direi la maggioranza delle persone indossa mascherine (anche se credo sia obbligatorio per legge).

Sin da subito non ho potuto non notare un fatto eclatante: l’accessibilità della città. Davvero in tutti i marciapiedi sono presenti i percorsi per cechi e vi sono rampe ovunque per le carrozzelle. Persino le strisce pedonali hanno il percorso per ciechi come in foto, cosa che non avevo mai visto prima. Un sistema che fa invidia alla Scandinavia. Da quanto mi dicono dovrebbe essere così in tutta la Turchia. Complimenti a un Paese che ha certamente meno risorse di noi ma che, almeno per questo, sa essere incredibilmente inclusivo. A proposito di strisce, va però detto che il pedone non ha mai la precedenza, salvo non ci sia un semaforo. Se passi, non contare che la macchina che ti viene incontro rallenti.

La questione armena o come la definisce il premier “fatti del 1915” è come noto un punto molto controverso. Mi limito a riprendere il punto di vista turco, dal momento che usare quella parola qui è punito da 6 mesi a 2 anni di carcere, e mi è stato detto di stare attenti ai social. In Francia, di contro, negarlo è un reato. Per la Turchia appunto, molti armeni sono morti di fame nei trasferimenti voluti dall’allora Impero Ottomano per ragioni di difesa. Gli armeni erano infatti filorussi (ambo cristiani) con la Russia in guerra con l’Impero. I francesi, alleati dei russi e quindi neminici dei turchi, fornivano armi agli armeni e spingevano da sud, dalla Siria, conquistando Gaziantep dopo una “eroica difesa” a cui è dedicata il museo in foto, interno alla fortezza di Gaziantep.

[…]

Al di là delle attività, va detto che la permanenza a Geged, la mia associazione ospitante, è stata indimenticabile. La struttura bellissima in stile armeno. Con i miei compagni di avventure mi sono trovato molto bene, molto meglio di quanto mi aspettassi. Il personale del associazione, ragazzi più o meno della nostra età, sempre disponibili e parte del gruppo.

Fatto curioso. Stavamo giocando con alcuni bambini syriani. A un certo punto loro che avevano dai 5 agli 8 anni, ci chiedono di giocare a scacchi. Loro, non noi. Wow.

La cosa che più mi ha colpito della Turchia è la gentilezza delle persone, almeno nei nostri confronti. Sono davvero numerosi gli episodi che da noi difficilmente si vedrebbero: da chi ci ha portato da un luogo all’altro quando ci siamo persi all’autista del bus pubblico che aspetta che una di noi fosse andata in bagno. Una in particolare merita qualche parola: Habla, la donnona nella foto. Gestisce un piccolo ristorante davanti all’associazione dove ho mangiato quasi tutti giorni – benissimo e a un prezzo stracciato (ca 1€ a pasto). Poca scelta, ma se chiedi qualcosa nello specifico il giorno dopo c’è. Se tutto questo non bastasse, raccoglie donazioni tra gli amici e compra mobili e oggetti per famiglie povere. Siamo andati insieme al mercato e abbiamo comprato un frigo, un divano e alcune coperte.

Una cosa buona però sicuramente l’abbiamo fatta. Per puro caso abbiamo conosciuto questa scuola di syriani gestita da una piccola associazione. Offrono gratuitamente lezioni di turco e syriano a bambini syriani presi dalle strade e che non frequentano scuole pubbliche. Queste sono gratuite per i syriani ma molte famiglie, soprattutto quelle composte da una vedova, hanno necessità di mandare i bambini anche giovanissimi a lavorare o chiedere elemosina.

Nonostante il chiaro impatto della scuola “Rainbow” sui circa 40 bambini che la frequentano, il centro stava per chiudere a causa di difficoltà economiche. L’affitto doveva essere pagato venerdì scorso e non avevano praticamente nulla dei circa 700$ necessari a pagare i prossimi 3 mesi. Il contratto sarebbe quindi scaduto. Abbiamo quindi lanciato una raccolta fondi interna raggiungendo la cifra richiesta e pagando l’affitto. La struttura manca però di una solida organizzazione in grado di provvedere a trovare donatori regolari e partecipare a bandi. In questo senso una persona più giovane, mio caro amico, dovrebbe prendere il posto dell’anziano direttore.

Non solo vacanze… la nostra principale attività è stata fare lezioni/tandem in inglese a syriani ma soprattutto turchi, peraltro in numeri molto limitati dovuti al covid. La cosa ci ha tutti abbastanza delusi, visto che ci aspettavamo di lavorare più con i syriani, essendo anche quanto scritto nell’infopack. A quanto pare era così un tempo, ma per problemi vari la nostra associazione ospitante non lavora più con associazioni syriane. Oltretutto eravamo davvero troppi volontari per il numero di attività possibili, con 1-2 lezioni da 2 ore a settimana.

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