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Riflessioni dal confine

Giuliana ha partecipato al progetto “GIVE 3 – Gaziantep Inclusion by Volunteers from the EU”, co-finanziato dal Programma Corpo Europeo di Solidarietà dell’Unione Europea.
GIVE 3 coinvolge in totale 40 volontari italiani e turchi in attività di orientamento sociale a Gaziantep rivolte alla comunità, ai bambini e giovani siriani e turchi. Il progetto vuole quindi contribuire alla creazione di un dialogo  aperto che porti a un atteggiamento più inclusivo .

A Bea, Ila, Tere e Annini,
che mi hanno fatta dormire in ostelli e nuotare nell’Eufrate.
Grazie per avermi accettata e spinta oltre me stessa.
And to our Mentor, Abdulsalam

L’estate a Gaziantep si brucia. L’aria rovente ti brucia la pelle; il sole brucia le pietre bianche e nere dell’antica chiesa armena, ora moschea sunnita—la cui cupola è stata distrutta dal terremoto dello scorso febbraio. Roghi di immondizia e pneumatici scoppiati incendiano spesso l’aria. 

Bruciante è anche la curiosità e la fame di scoprire il mondo che molti giovani hanno: lasciare Antep per scoprire destinazioni europee è un obiettivo ricorrente, che riecheggia nei discorsi di tanti. Ad ostacolarli nel loro anelito di esplorare e conoscere il mondo, il passaporto turco. O, per chi è di nazionalità siriana, la totale assenza di un passaporto o di documenti che ne riconoscano l’esistenza e le aspirazioni. Vite sospese in un limbo procedurale, quelle di migliaia di individui: impossibilitati a tornare in patria, perché un luogo da considerare tale non esiste più; ostacolati nel ricostruirsi una nuova vita nel paese che li ospita. Condannati a una eterna danza immobile da uno spietato Catch 22. È il paradosso burocratico turco (con il sostegno e la complicità europea): uno scarto crudele tra ciò che è e ciò che si vorrebbe, iato incolmabile per chi da qui vorrebbe solo andarsene. Alla ricerca di un altrove. Forse, soltanto alla ricerca di sé. Perché se Freedom is just another word for nothin’ left to lose, allora solo loro sanno davvero cos’è la Libertà. 

Terra di confine geografico, da secoli Gaziantep è crocevia di storie e etnie, dove Turchi, Curdi e Arabi esistono insieme. Distanti meno di un centinaio di chilometri, Antep e Halep (Aleppo) sono divise dalla frontiera, ma accomunate da Storia—erano parte della stessa regione dell’Impero ottomano—tradizioni e cultura. Da ultimo, segnate entrambe dalle conseguenze—dirette o indirette—della guerra civile in Siria e dal recente terremoto, che ha colpito l’intera area senza distinzioni di nazionalità. 

Famosa per la sua ricca gastronomia e la vivacità culturale, Gaziantep è la sesta metropoli turca per popolazione. Con una crescita demografica vertiginosa, nell’ultimo mezzo secolo ha raggiunto quasi i due milioni di abitanti: un quarto sono siriani.

Passeggiando per le antiche vie della cittadella, ci si accorge infatti della predominante presenza della comunità siriana in questa zona centrale della città. Qui, scritte in arabo—di negozi, ristoranti e parrucchieri—si affiancano a cartelli in turco.

Una città complessa e articolata, ricca di sfumature e sapori, così come di contraddizioni e tensioni. Contrasti che perfettamente riflettono le faglie socio-politiche e religiose interne alla Turchia. Un tempo periferia del decaduto Impero ottomano—e prima ancora Mesopotamia—oggi Antep rappresenta un punto di osservazione privilegiato: la realtà in divenire si vede meglio agli estremi che dal centro. 

Vivere a Gaziantep significa sfidare i pregiudizi, propri e altrui. Abbattere muri mentali e limiti emotivi: per scoprirsi vulnerabili, ma proprio per questo più audaci. È il richiamo alla preghiera che riecheggia dalla più vicina moschea cinque volte al giorno. È il brivido di una nuova avventura che ti scuote dentro, perché ti ricorda che sei vivo. È la riscoperta libertà (e sana incoscienza) di esplorare un Paese sconosciuto—a volte incomprensibile—di cui non conosci la lingua e in cui nessuno capisce la tua: eppure un modo per comunicare si trova quasi sempre, è il linguaggio umano di sguardi e gesti che ci accomuna tutti. 

Vivere a Geged poi, nella cornice di questo progetto di volontariato internazionale, è un’intensa amplificazione di tutto ciò: è condivisione di spazi fisici ed emotivi. Un luogo dove all’inizio ti chiedi com’è che si sei finito; ma che quando devi lasciarlo è già diventato parte di te. Qui, imparando a conoscersi e a confrontarsi, ci si può scoprire uguali nelle reciproche differenze. Ma soprattutto ci si può sorprendere—degli altri, e ancor più di se stessi. Sorprendersi del percorso intrapreso e delle sfide superate; di come il tempo sia volato, eppure sembra sia passata una vita da quando si è varcata quella soglia. Sorprendersi della potenza dei legami instaurati e di non volersene più andare; e promettersi di ritornare: una fine che forse è solo un nuovo inizio. 

Giuliana Băruș