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Volunteering Team “GIVE-2” Gaziantep: il racconto di Alberto

È bastato un breve scambio culturale di una settimana, nel dicembre 2021, a convincermi di voler tornare il prima possibile a Gaziantep. Non solo e non tanto per via della mia personale passione verso il Paese anatolico e le sue culture, quanto perché Gaziantep è una di quelle città da vivere e scoprire giorno dopo giorno. La sua cucina e le sue attrazioni culturali, i suoi cafè e l’antico Bazar. Ma, soprattutto, la sua gente e i suoi bambini. Per un italiano può risultare addirittura spiazzante l’età media di questa città e il numero di bambini e bambine che, sempre in gruppo, corrono e giocano per le strade dei vari quartieri in totale libertà.  Una città, e una popolazione, che indiscutibilmente necessita di sostegno e di partecipazione attiva anche dall’esterno, ma che allo stesso modo promette ed è capace di restituire più di quanto tu sia in grado di offrirgli. 

Non ho quindi esitato un secondo quando ho trovato la possibilità di partire con il progetto “GIVE-2” del Corpo Europeo di Solidarietà. Ad ospitarci, in un bellissimo Konak – struttura/palazzo tipico della borghesia e aristocrazia ottomana – e coordinarci è stata l’associazione no-profit locale GEGED (Gaziantep Eğitim ve Gençlik Derneği), divenuta con il passare degli anni punto di riferimento per il quartiere, e non solo. E non è difficile comprendere il perché e il come: GEGED, nelle sue attività quotidiane, collabora con varie altre associazioni sul territorio al fine di fornire quanto più sostegno possibile ai cittadini, sia turchi che siriani, con minori opportunità. Promozione della cittadinanza attiva e alla partecipazione democratica, campagne di informazione sulle opportunità europee e di sensibilizzazione ambientale ma, soprattutto, educazione non formale di bambini, ragazzi e adulti per una migliore integrazione e sviluppo sociale. Sono solo alcune delle attività portate avanti dall’associazione con il sostegno dei volontari ESC e locali. 

Fare volontariato a Gaziantep con GEGED è sicuramente, a oggi, una delle esperienze che più mi ha lasciato il segno e permesso di crescere sotto ogni punto di vista. Insegnare, giocare e apprendere ogni giorno con e dai bambini di KidsRainbow è ciò che, a distanza di settimane, mi manca di più in assoluto: la loro allegria, la voglia di imparare giocando (e di dimostrare di aver imparato), la spensieratezza nonostante tutto e, forse maggiormente, i momenti di puro caos e svago tra una “lezione” e l’altra, nell’ampio atrio interno alla scuola. Ma l’esperienza ESC a GEGED non è unicamente attività di volontariato. È stabilire connessioni e relazioni umane, conoscere nuove persone, lingue e culture differenti, visitare le città nei dintorni, instaurare nuove amicizie.  Difficile descrivere a parole l’atmosfera e il clima interno alla grande famiglia GEGED. Sicuramente il merito principale di questo spetta ai volontari locali che, forse vero e proprio pilastro dell’Associazione, riescono fin dal primo giorno a farti sentire parte integrante di loro, di GEGED e della città. Che tu svolga uno short-term di due mesi, uno scambio culturale di appena due settimane, un long-term di un anno o, come me, un volunteering team di un mese e mezzo, GEGED ti accoglie, ti ascolta, e ti fa sentire parte di qualcosa di più grande. Perché, in fin dei conti, GEGED è qualcosa di più grande: è terreno di passaggio di centinaia di volontari e volontarie ogni anno che costruiscono, lasciano e si portano via un pezzo di storia. 

Costruiscono una società più inclusiva e aperta.

Lasciano un oggetto – una moka, una cartolina, una foto, una pianta, un paio di scarpe… – o un ricordo che assume la forma di storia/aneddoto che proprio i volontari locali si “fanno carico” di raccontare e tramandare.  

Si portano via un bagaglio culturale accresciuto e un gran senso di soddisfazione, oltre – purtroppo o per fortuna – a una certa nostalgia e la consapevolezza di aver potuto e dover fare qualcosa in più. Forse è anche per questo che molti dei volontari, una volta stati a GEGED, cercano un modo per tornarci. 

Cosa significa per me il Corpo Europeo di Solidarietà e il volontariato

Il Corpo Europeo di Solidarietà è uno di quei programmi di cui non mi stancherò mai di parlare e di voler contribuire a pubblicizzare e diffondere tra i giovani, italiani e non. Forse un po’ per via del fatto che io stesso lo ho scoperto – o, meglio, ho deciso di “usufruirne” – con colpevole ritardo. O forse più semplicemente perché è un’occasione di crescita formativa personale, relazionale e culturale troppo preziosa per passare inosservata e/o non essere colta al volo il prima possibile. Anche e soprattutto dal momento che tale crescita personale viene raggiunta mettendosi in gioco per un fine altruistico e per il raggiungimento di quello che è sempre un bene collettivo. D’altra parte, fare volontariato – che sia europeo, internazionale o locale – significa (per il sottoscritto) esercitare una cittadinanza attiva, con senso di solidarietà e la consapevolezza che, contrariamente alle logiche di profitto, competizione e individualismo che regnano sovrane in altri contesti e ambiti, le relazioni umane e il capitale sociale sono tra i beni più importanti da porre al centro della propria azione, specie in quei contesti che più ne necessitano. 

Se è vero che l’azione solidaristica di un volontario non è dettata dalla ricerca di un profitto o guadagno, ciò non significa affatto che fare volontariato non comporti vantaggi, anche non indifferenti, a livello individuale. A livello prettamente di ambiti d’interesse e di sviluppo di capacità personali (le c.d. skills), il Corpo Europeo di Solidarietà (ESC), con il suo portale dove trovare tutti i progetti di volontariato, rappresenta una miniera in cui scavare – facilmente – alla ricerca del progetto più adatto e maggiormente affine al nostro potenziale, ai nostri interessi e alle disponibilità economiche e temporali. Ma, al di là di ciò, partire per un volontariato ESC per me significa avere l’opportunità di arricchirsi dal punto di vista umano. Conoscere il mondo e la gente che lo abita, fare amicizia e stringere relazioni: alcune che rimarranno forse virtuali, con un follow su Instagram, altre destinate a crescere, approfondirsi e perdurare. Risulta forse facile per il sottoscritto affermare ciò, visto che proprio grazie a un’esperienza ESC ha conosciuto, ad Ankara, quella che tutt’ora è la sua ragazza (portoghese). Ma in appena tre esperienze di volontariato e scambi culturali europei posso convintamente affermare di aver visto nascere profonde amicizie e relazioni in grado di cambiare le persone e le loro vite. 

Il mondo del volontariato europeo – chi vi si lancia lo scopre presto – è poi un vero e proprio network che, per quanto fitto e ampio, porta le strade dei vari volontari a intrecciarsi e rincontrarsi. Che sia per via di storie di un amico in comune conosciuto durante esperienze ESC differenti o perché, in fin dei conti, siamo tutti accomunati dalla stessa voglia di conoscere, scoprire e aiutare che ci porta nuovamente sul medesimo cammino.